Quando la vita ci pone davanti a dei momenti fatali o a delle inspiegabili ingiustizie, l’uomo si chiede da sempre, perché?
La risposta più semplice e antica a questa domanda è: destino.
Imprevedibilità e casualità sono il volto instabile e destabilizzante del destino. Il caso non risponde a nessuno schema o organizzazione, è inaccessibile alla comprensione e il suo andamento è opposto al concetto di ordine. Così, osservando gli avvenimenti casuali, non è possibile leggere alcuna logica comprensibile o uno scopo sensato; ogni evento fortuito non è prevedibile, non sembra avere una finalità, una motivazione o una spiegazione. Il concetto di caso appare, dunque, come un affronto all’Io, alle sue facoltà di comprendere, predire, determinare e alle sue funzioni di controllo.
Asserire che la spiegazione degli eventi fatali sia dovuta esclusivamente al caso può sembrare semplicistico e dunque, si avanza il sospetto che il caso sia un evento la cui causa è ancora sconosciuta. Il sapere, infatti, toglie sicuramente terreno alla dottrina del caso e, dinanzi alle cognizioni dell’intelletto, non si invoca più l’intervento della sorte per spiegare la realtà.
Un evento può rivelarsi fortunato o sfortunato, a seconda dei momenti in cui accade o delle conseguenze che avrà nel futuro. Caso e fortuna fanno sentire l’uomo impotente e se il tutto avviene secondo un’imprevedibile volubilità, non esiste ragione perché l’Io si impegni nell’autodeterminazione. Se lo strapotere è della fortuna, l’Io non può che abbandonarsi all’impotenza, adagiandosi pigramente e demandando ad esso ogni scelta e responsabilità; se invece, l’Io non riconosce il potere della fortuna, non può che affermare la sua onnipotenza, ritenendo la sua abilità più efficace del caso, erotizzando la sfida con la fortuna, consapevole della sofferenza che ne conseguirà.
La psicoanalisi ha ridimensionato il concetto di destino; ad oggi l’ipotesi che l’inconscio sia responsabile di comportamenti apparentemente fortuiti è ampiamente accettata dalla cultura contemporanea. Atti ed eventi mancati, omissioni, dimenticanze e malintesi, un tempo considerati figli della casualità, oggi sono attribuiti all’inconscio. Questo si rivela nella reiterazione di comportamenti o impedimenti, in atti inspiegabili alla ragione, in tutte le coazioni a ripetere e ripropone modelli identici con la stessa perseveranza del destino.
Le sue manifestazioni assumono un andamento simile alle combinazioni del caso: imprevedibili, perverse e insensate, come solo il caso sa fare. Se si riuscisse a scrutare nell’abisso della mente, molte cose apparentemente assurde troverebbero una spiegazione; non è raro osservare partner diversi di una stessa persona che ricordano quelli precedenti e presentano tratti e caratteristiche in comune anche nell’aspetto. Le relazioni umane o i rapporti d’amore di alcune persone si concludono tutte nello stesso modo e, a questa apparente casualità, la scoperta dell’inconscio può offrire nuovi scenari e rintracciare scopi che il conscio mai condividerebbe, anzi, al contrario, troverebbe lesivi, dolorosi o assurdi.
Nel creare apparenti combinazioni ed eventi, l’inconscio lavora ad un preciso piano e persegue mete e scopi coerenti, ignoti all’Io e non conoscibili né spiegabili al conscio. L’Io non ha consapevolezza delle sue intenzioni e così gli eventi della vita appaiono spesso fortuiti e imprevedibili, ma solo in apparenza. (Widmann C., 2006).