Simone de Beauvoir (1971) afferma che spesso si consiglia alle persone di “prepararsi” alla vecchiaia mettendo da parte del denaro; scegliendo un posto tranquillo per andarcisi a ritirare o coltivando degli hobbies. In questi casi, però, quando verrà il momento, non si sarà fatto granché. Nel suo studio sociologico l’autore sostiene che in tarda età è fondamentale continuare a perseguire dei fini che diano senso alla nostra vita: dedizione ad altre persone, a una causa, al lavoro sociale, intellettuale, politico o creativo.
Bisogna conservare delle passioni forti che ci permettano di non ripiegarci solo su noi stessi; la vita conserva un valore finché si da valore alle vite degli altri, con l’amore, l’amicizia e la compassione (Kernberg O.F., 1984).
Oggi la vecchiaia ha perso quel senso di conclusione che da merito e significato a tutto il percorso di vita; non è più considerata come un periodo caratterizzato da saggezza e maturità, ma un momento di decadenza e impoverimento.
Se i “vecchi” fossero considerati degli “anziani” con un posto e un ruolo nella società, la loro esperienza sarebbe valorizzata come fonte di conoscenza ed i segni del tempo sul corpo non diverrebbero evidenze di cui vergognarsi.
Un corpo invecchiato viene nascosto con la chirurgia plastica, i capelli bianchi coperti e rimedi di ogni genere vengono utilizzati per cercare di mantenere giovane la pelle. Tutto appare necessario per dare a noi stessi un’immagine diversa, l’immagine che vogliamo che gli altri vedano.
Questo non significa che il corpo non faccia sentire il passare del tempo, spesso, infatti, esige un’attenzione diversa; tuttavia, è possibile mantenere un relativo benessere e avere davanti a sé un tempo relativamente lungo da vivere.
La vecchiaia è un’età della vita degna di essere vissuta e non soltanto un’epoca di deterioramento, in attesa della fine. Seppur gravata da angosce e conflitti specifici, può rivelarsi come un tempo per la creatività e per un’ulteriore sviluppo.
Malgrado ciò, non si può più ignorare la fragilità del corpo e che la vita abbia un termine; è necessario elaborare il problema del limite dell’esistenza e la vita deve continuare ad avere il proprio significato.
Il periodo finale dell’esistenza può e deve essere considerato come un’età che appartiene alla vita, in modo naturale, come: l’infanzia, l’adolescenza e la maturità.
L’avanzare dell’età porta con sé perdite, lutti e traumi importanti: la morte dei genitori; la partenza dei figli da casa; il pensionamento dal lavoro; la perdita di un fratello o di una sorella; degli amici o di un coniuge. Tali dolorose perdite testimoniano che un’intera epoca della vita è passata, senza possibilità di ritorno; dunque, non è facile preservare il proprio equilibrio emotivo e spesso si ha bisogno di un aiuto.
L’approssimarsi della vecchiaia e la paura inconscia della morte può determinare, in alcune persone, uno squilibrio tale da generare una crisi delle difese, che fino a quel momento gli avevano consentito una forma di equilibrio psichico.
Talvolta, ciò che porta gli anziani a richiedere una terapia è: la difficoltà ad elaborare tali lutti; ad accettare le trasformazioni fisiche che il passare dell’età comporta; il timore della perdita della potenza sessuale; una ricaduta di una malattia precedente come, ad esempio, la ripresa di una sindrome depressiva (Corsa R., et al., 2020).
Intraprendere una psicoterapia può essere una scelta relativamente facile per una persona giovane; mentre, per una persona anziana, può essere più difficile pensare che possa esistere un aiuto psicoterapeutico (Kernberg O.F., 1984).
La possibilità di riprendere in mano il senso della propria esistenza ed il proprio destino permette, seppur in tarda età, di riconoscere l’opportunità di fare i conti con ciò che ha ossessionato l’individuo per tutta la vita. Con l’avanzare dell’età aumenta anche la necessità di dare significato alla propria esistenza e di comprendere ciò che non è stato possibile capire prima.
De Masi (2002) sostiene che si tratta di fare il lutto di quello che siamo stati e che invece avremmo potuto essere; il lutto rispetto agli errori commessi o alle occasioni mancate. Seppur con dispiacere, è un periodo in cui si può mantenere vivo il ricordo e la consapevolezza di quello che di buono abbiamo potuto fare.
I ricordi del passato non si esauriscono in esso, ma suscitano affetti vivi che mettono in movimento e ispirano azioni concrete nel presente. Il ricordo è un filo conduttore ed aiuta l’individuo a dare senso al proprio percorso; è restare vivi ed andare avanti cercando ancora la propria strada (Corsa R., et al., 2020).
Ricordare e far tornare alla memoria il passato è un lavoro indispensabile al lavoro del lutto. Il lavoro del lutto è dilaniante e doloroso ma è un lavoro della memoria (Recalcati M., 2016).
Quando si è diventati vecchi sembra non esserci più nessuno disposto ad ascoltare e gradualmente si perde la fiducia nel comunicare i propri pensieri.
Talvolta, l’isolamento del soggetto è proprio una reazione al mondo disinteressato che lo circonda, è un necessario aggiustamento che gli permette di rivolgersi di nuovo a se stesso, non volendo fare più niente per essere ascoltato.
Quando la stanchezza e la paura sono evidenti, è bello avere qualcuno che, ascoltando, aiuta a narrare la propria vita e ad affrontare i propri mostri.